La grande depressione del 1929 e la nascita del Lindy Hop

In America, negli anni 20 si registrò un aumento enorme della produzione industriale e la crescita di profitti e dividendi. Albergò in molti la convinzione che la scienza e la tecnica sarebbero state in grado di risolvere ogni male, ed avrebbero garantito in breve tempo benessere, prosperità e sicurezza economica a tutti. Vi fu una assoluta fiducia nell’individualismo e nel totale liberismo economico.
Dopo la fine della prima guerra mondiale si manifestò in Europa una ripresa delle attività produttive nel campo dell’industria e soprattutto della produzione agricola. Negli Stati Uniti, a seguito della riduzione della domanda di prodotti agricoli dall’Europa, i prezzi delle derrate presero a precipitare a causa dell’enorme accumulo di scorte rimaste invendute. Tonnellate di grano e caffè, furono distrutte allo scopo di farne salire il prezzo. In tali condizioni l’agricoltore americano fu costretto a ridurre le sue spese, e di questo risentì l’industria che non riusciva a collocare i prodotti sul mercato, sebbene i prezzi fossero progressivamente diminuiti. I contadini non parteciparono all’ondata di benessere del dopoguerra. Inoltre la distribuzione della ricchezza era molto diseguale. Negli Stati Uniti dell’epoca 200 individui disponevano di un reddito di 1 milione di dollari all’anno o più, ma l’86% dei redditi personali era al di sotto dei 200 dollari.
In quegli anni Charlot, in “Febbre dell’oro” e “Tempi moderni”, denunciò silenziosamente la barbarie di un mondo di disoccupati e vagabondi e protestò contro il mondo del capitale e la disumanità della produzione a catena.
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Ecco cosa scrisse Ford ne “La mia vita e la mia opera, (editrice Apollo, Bologna 1925) sulla produzione a catena: Dividere e suddividere le operazioni, tenere il lavoro in movimento: queste sono le chiavi della produzione. Il preciso risultato dell’applicazione di queste massime è la riduzione della necessità di pensiero da parte degli operai e la eliminazione di ogni loro movimento superfluo. L’operaio deve fare possibilmente una cosa sola con un solo movimento.
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Giovedi 29 ottobre 1929 la clamorosa caduta delle azioni e dei titoli alla Borsa di new York segnò l’inizio di quella che fu chiamata la “grande depressione”. Il mercato fu invaso da un’ondata di panico che portò al crollo di tutti i titoli in Borsa, al fallimento ed alla rovina di migliaia di imprenditori e risparmiatori. Alla fine di quel tragico mese di ottobre, gli americani persero quaranta miliardi di dollari. I disoccupati si contarono a milioni: 8 milioni nel 1930, 13 milioni nel 1933.
In proporzione i disoccupati neri furono i più numerosi. Si è calcolato che nel 1932 il 65% dei neri in grado di lavorare, fu costretto a ricorrere alla pubblica assistenza. Un blues dell’epoca ci da’ un quadro della situazione:

It’s hard time here, hard time everywere,
It’s hard time here, hard time everywere,
It’s hard time here, hard time everywere,

I went down to the factory where I worked for years,
I went down to the factory where I worked for years ago,
And the boss man tol’ me that I ain’t comin’ here no mo’,

And we have a little city that they call down in Hooverville,
We have a little city that they call down in Hooverville.
Times have got so hard, people, they ain’t got no place to live.

[le Hooverville, così chiamate “in onore del presidente degli Stati Uniti Hoover, erano delle baraccopoli costruite con materiali di fortuna]

(tratto da Jazz, di A. Polillo)

Non andò sicuramente meglio ai musicisti neri. Il jazz era una musica ancora destinata alla minoranza nera ed i neri subivano pesanti discriminazioni razziali. Molti grossi calibri della scena jazzistica dell’epoca attraversarono l’Atlantico per approdare nella più accogliente Europa, in particolare in Francia ed Inghilterra, dove trovarono un pubblico entusiasta e meno incline alla discriminazione per motivi di razza. Brahms, Dvorak, Ansermet, Stravinsky, Ravel, si entusiasmarono ascoltando il jazz; gli intellettuali europei furono affascinati dai ritmi e dalle danze dei neri afroamericani. Duke Ellington, Louis Armstrong, Noble Sissle, Coleman Hawkins, nel corso dei loro più o meno lunghi soggiorni nel vecchio continente, lasciarono importanti testimonianze che trovarono terreno fecondo ed una nutritissima schiera di appassionati.
Negli anni della grande depressione, New York ebbe un milione e mezzo di disoccupati, tra questi un gran numero musicisti, di cui una buona parte proveniva da Chicago, dove la polizia aveva chiuso quasi tutti gli speakeasies.
In questa situazione socio economica, il Savoy Ballroom, una delle poche imprese redditizie di Harlem, ebbe l’opportunità di scritturare a poco prezzo, delle buonissime orchestre che ingaggiarono le cosiddette battaglie del jazz, davanti ad un pubblico entusiasta di ballerini. Il Savoy Ballroom, frequentato dalla gioventù nera di Harlem, era una bellissima sala da ballo con una pista lunga oltre settanta metri e larga quindici. Il prezzo d’ingresso era popolare (circa mezzo dollaro per una serata) ed i musicisti ricevevano come compenso il minimo sindacale, che per l’epoca era comunque una buona paga.
In questo ambiente esplose il fenomeno del Lindy Hop, che originariamente si ballo’ quasi esclusivamente al Savoy (di qui la denominazione Original Lindy Hop Savoy Style). Dopo qualche anno, con l’avvento dell’era dello swing, il Lindy Hop divento’ una vera e propria mania, ed i suoi seguaci, i cosiddetti Jitterbugs, misero a soqquadro per oltre un decennio le sale da ballo con le loro evoluzioni acrobatiche ed i movimenti scatenati.
Il primo grande ballerino di Lindy Hop fu Shorty George Snowden, che secondo la leggenda, confermata anche dai racconti di Frankie Manning, diede il nome al ballo. Nel 1928 a New York si svolse una maratona di danza, quasi in concomitanza con la storica trasvolata di Lindberg (soprannominato Lindy) sull’Atlantico (Hop – balzo, salto), che colpì grandemente l’immaginario collettivo dell’epoca. Shorty George Snowden ad un certo punto improvvisò alcuni passi secondo uno stile in voga ad Harlem, ed alcuni gli chiesero di cosa si trattasse; allora Shorty, dopo averci pensato un momento, rispose: <<"I'm doin' the Hop...the Lindy Hop">>.
Il Lindy Hop fu sin dall’origine una danza sociale di evasione, espressione genuina dell’istinto nero, puro ritmo ed energia, difficilmente imbrigliabile nei tecnicismi e negli schemi classici, propri di altre danze e differenti culture.

Nel 1932 Roosevelt fu eletto presidente degli Stati Uniti e si trovò ad affrontare una situazione disperata. La politica di Roosevelt fu quella di sostituire l’inazione delle precedenti amministrazioni (lasseiz faire) con l’azione e l’intervento, che si sostanziarono nel deciso ingresso della mano pubblica in campo economico e sociale.
Tuttavia, i neri non furono tra i primi a beneficiare degli indubbi progressi economici e sociali del “New Deal” di marca roosveltiana. Un blues dell’epoca cosi recitava:

Now I’m gettin’ tired of sittin’ around,
I ain’t makin’ a dime, just wearing my shoe-sole down,
Now everybody’s cryin’ “let’s have a New Deal”
Cause I’ve got to make a livin’ if I have to rob or steal.

Now I ain’t made a dime since they closed down the mill,
I’m sittin’ right here waitin’ on that brand New Deal

Traduzione (da Jazz, di A. Polillo):
Ora comincio a stufarmi di stare seduto ad aspettare qua e là,
non guadagno un soldo, consumo soltanto le suole delle scarpe,
ora tutti dicono: “Dobbiamo avere un New Deal”,
perchè io devo pur vivere, a costo di rapinare o di rubare.

Non sto guadagnando un soldo da quando hanno chiuso la fabbrica,
ora me ne sto qui seduto ad aspettare questo benedetto New Deal.

Roosevelt con la sua politica rimise in moto l’economia degli Stati Uniti. Aiuto’ gli agricoltori a vendere ad un prezzo remunerativo i prodotti della terra mettendoli in condizione di acquistare i manufatti dell’industria. Emano’ leggi in difesa dei lavoratori ed a salvaguardia dei diritti sindacali, leggi che introdussero strumenti di protezione sociale contro la disuccupazione, provvedimenti per la costruzione di abitazioni decorose per le famiglie a basso reddito, misure a tutela del risparmio ed in difesa delle industrie strategiche (petrolio e carbone), azioni concrete per lo sviluppo delle aree depresse. Lo Stato si fece carico anche delle esigenze e dei bisogni delle classi sociali più deboli.
Intanto cominciò a prendere forma il movimento musicale e culturale che portò all’ Era dello Swing. Lo swing divenne un vero fenomeno di massa che investì tanto i bianchi quanto i neri, fu forse il primo fenomeno sociale veramente trasversale nella storia degli Stati Uniti dalla fine della segregazione razziale.

Mario Sabatino

Bibliografia:
Arrigo Polillo, Jazz, ed. 2001, Milano, Mondadori
F. Catalano, Stato e società nei secoli, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1968
H.C. Hoover, in R. Hofstadter, Le grandi controversie della storia americana, Opere Nuove, Roma, 1966
H. Ford, La mia vita e la mia opera, Editrice Apollo, Bologna, 1925
D. Thomson, Storia d’Europa dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri, feltrinelli, Milano, 1961
F.D. Roosevelt, in F. Mancini, L’età di Roosevelt, Il Mulino, Bologna, 1962
H. Wallace, in F. Mancini, L’età di Roosevelt, Il Mulino, Bologna, 1962
SavoyStyle.com – http://www.savoystyle.com


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2 responses to “La grande depressione del 1929 e la nascita del Lindy Hop”

  1. fabio Avatar

    ciao a tutti… mi scrivete i titoli dei blues di cui avete parlato tratti da "jazz"
    non riesco a trovarli
    GRAZIE MILLE

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